Detta anche la Vergine del Segno, la Grande Panaghia indica una figura frontale di Maria in piedi con le braccia aperte, nel gesto dell’orante, e che porta nel seno il Figlio. L’icona della Panaghia è una catechesi sulla santità come segno e ostensione del Dio incarnato. Chi vede la santità umana, vede Dio.
Troviamo un famoso esempio di questo schema nella Grande Panaghia di Yaroslav, icona scritta all’inizio del secolo XIII per la cattedrale di Kiev. All’ostensione di una simile immagine si era attribuito nel 1170 la miracolosa salvezza della città di Novgorod dopo un feroce assedio intrapreso dai soldati di Suzdal.
Da allora la Panaghia viene chiamata anche Vergine del Segno. Segno di protezione contro l’assediante, certo, ma prima di tutto segno di pace profetizzato da Isaia: «Il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele» (Is 7,15).
Che una vergine diventi madre pur rimanendo vergine, questo è il «segno» dell’intervento divino. Per il Nuovo Testamento Maria di Nazareth è il compimento di questa profezia (cf Mt 1,22-23).
Che una vergine diventi madre pur rimanendo vergine, questo è il «segno» dell’intervento divino. Per il Nuovo Testamento Maria di Nazareth è il compimento di questa profezia (cf Mt 1,22-23).
Il «Segno» è la sua verginità.
Panaghia significa infatti “Tutta santa”. Così la tradizione accosta santità e segno, santità e compimento visibile delle promesse. Sant’Ireneo commenta: «Perciò il Signore stesso ci dette un segno, in profondità e in altezza, segno che l’uomo non domandò, perché non si sarebbe mai aspettato che una vergine potesse concepire e partorire un figlio continuando ad essere vergine, e il frutto di questo parto fosse Dio-con-noi».
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